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Il libro nasce sfogliando le carte della follia, conservate presso l'archivio storico del manicomio Santa Maria della Pietà di Roma. Il libro racconta l'esperienza di internamento di 18 donne, condannate dalla giustizia, e rinchiuse nel manicomio romano, tra il 1900 e il 1915, per pericolosità sociale. Cerca attraverso le parole usate dai medici, attraverso la corrispondenza che le detenute-internate hanno intrattenuto con i propri familiari, di far emergere delle soggettività, delle personalità attive che hanno vissuto la malattia mentale come un momento di rottura con il proprio contesto culturale. La traduzione dei documenti presenti nei fascicoli personali, permette di osservare come le detenute hanno subito, nell'esperienza dell'internamento, un processo di riduzione del sé e una successiva oggettivazione, tale da renderle, agli occhi dei medici, semplici oggetti di conoscenza, corpi inermi da neutralizzare, osservare e analizzare. L'esperienza della follia per le detenute-internate, appare quindi, come l'esperienza del diverso, tra i presunti uguali, che vivono dentro una stessa società.